IL MERCANDE DI VENEZIA

Un testo “nero”, crudele e intrigante: Luca Ronconi sceglie ancora Shakespeare.


Luca Ronconi sceglie ancora Shakespeare per la sua nuova produzione al Piccolo. Un testo ambiguo, crudele, “nero” e intrigante come Il Mercante di Venezia.

“Nelle mie frequentazioni shakespeariane – spiega il regista - ho sempre scelto commedie problematiche: Troilo e Cressida, Sogno di una notte di mezza estate, Misura per misura. Il loro esito dipende dallo sguardo dell’osservatore: cosa vede? Cosa lascia in ombra? Il mercante di Venezia rientra nella mia predilezione per questo Shakespeare mezzo chiaro e mezzo scuro, mezzo serio e mezzo grottesco… Nel Mercante il concetto di duplicità è ancor più marcato, rispetto al Sogno: se là esisteva una netta demarcazione fra il mondo di Atene e quello della Foresta, nel Mercante possiamo parlare di una continua alternanza tra due “location” equivalenti, tra un luogo che definirei realistico, Venezia, e un luogo fiabesco o romanzesco, Belmonte. Due luoghi sono anche il 'luogo dell’ebreo' e quello 'del cristiano'. Non stiamo parlando di un conflitto di religioni: a Shakespeare non interessava e il testo va lasciato così com’è, senza volgari forzature. Un altro tema interessante è il rapporto tra eros e danaro: la legge del danaro, e il modo in cui essa governa l’eros, è sorprendentemente presente nel mondo fiabesco di Belmonte come nella dimensione realistica veneziana. Siamo di fronte a una commedia piena di sfaccettature e di possibili punti di vista”.

Teatro Strehler dal 9 al 23 dicembre 2009 e dal 7 al 31 gennaio 2010

Il mercante di Venezia di William Shakespeare
traduzione Agostino Lombardo e Sergio Perosa
regia Luca Ronconi
scene Margherita Palli
costumi Ursula Patzak
luci A.J. Weissbard
musiche a cura di Paolo Terni
con (in ordine di locandina) Giorgio Ginex, Riccardo Bini, Ivan Alovisio, Sergio Leone, Andrea Luini, Gianluigi Fogacci, Francesco Colella, Fausto Russo Alesi, Silvia Pernarella, Gabriele Falsetta, Elena Ghiaurov, Raffaele Esposito, Giovanni Crippa, Bruna Rossi, Andrea Germani,

Ettore Colombo

e con Nicola Ciaffoni, Martin Chishimba, Matteo De Mojana, Davide Paciolla, Matthieu Pastore

produzione Piccolo Teatro di Milano

Cliccando qui giù il video promo.
http://www.youtube.com/watch?v=JoMMPVwV7F4

L'asino d'oro from Danilo Torre on Vimeo.

L'asino d'oro - PROMO

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Buona visione.

L'asino d'oro - PROMO

DELTEATRO.IT pubblica una bella recensione sull'ASINO D'ORO



L'asino d'oro


Scritto nel II secolo dopo Cristo, L'asino d'oro, noto anche come "Metamorfosi", è un romanzo di formazione, un viaggio di conoscenza dall'età giovanile a quella adulta . Attraverso le peripezie del suo personaggio principale, Lucio, trasformato da un incantesimo in asino e poi ritornato uomo dopo molte avventure, l'autore racconta in un modo fra il fiabesco e il rapsodico, la presa di coscienza, il diventare "grande" e dunque consapevole di un ragazzo facilone e scapestrato. Oltre che la storia di Lucio, nel romanzo, come in una specie di Mille e una notte asinina, si intrecciano anche altre storie d'amore, di morte, di punizione, di vizio e sregolatezza. Un romanzo sulla vita, insomma, che come da tradizione , gioca sui rapporti fra gli dei e gli uomini, fra il mondo animale e quello umano.

L'asino d'oro ha spesso intrigato i teatranti: qualche anno fa, per esempio, Paolo Poli ne fece una graffiante e divertente rivisitazione che ebbe molto successo. Oggi Francesco Colella, attore fra i più interessanti della giovane generazione, fra i protagonisti di molti spettacoli importanti di Luca Ronconi, uno che si trova a suo agio nel mondo della fiabe (si ricorda la sua bella interpretazione del Gatto con gli stivali di Tieck dell'anno scorso. Leggi la recensione. N.d.T.), insieme a Francesco Lagi che ne firma la regia, ha costruito un testo dove tutti i personaggi, il mondo fantastico di Lucio e le sue peripezie, i suoi incontri vengono rivissuti in prima persona. Come un flusso di memoria, come una storia interiore.

L'attore sta solo dentro un cilindro trasparente di garza, su di una pedana rotonda cosparsa di sabbia bianca: il suo è un racconto che nasce della mente, dove Lucio si trasforma in una specie di Lucky beckettiano che arriva in scena con la sua valigetta gessosa per dirci la sua storia. Una storia "pazza" dove vengono messi in luce i difetti e la credulità degli uomini. Tutto viene scandito da suoni e musiche rielaborate, niente è realistico, anche se il racconto non rinuncia alla fisicità che Colella filtra con misura non tanto immedesimandosi nei personaggi e nella storia, né facendone le voci, ma rimanendo sempre se stesso, dentro il flusso dei suoi affascinanti, favolistici ricordi. Una bella prova accolta con successo da un pubblico giovanile e attento.

di maria grazia gregori

(16:19 - 02 dic 2009)

L'ASINO D'ORO A MILANO

Sara Trecate scrive de L'ASINO D'ORO su teatrimilano.it 02/12/2009.

Sulla ristretta superficie di una pedana circolare, il giovane Francesco Colella, volto noto ai frequentatori del Piccolo Teatro, tutto solo si trova a dar vita ai numerosi personaggi de L'asino d'oro di Apuleio, nell'omonimo spettacolo (creato insieme al regista Francesco Lagi) in scena dall'1 al 3 dicembre al Teatro Ringhiera.
Il ricco Lucio, curioso di conoscere i segreti della maga Pànfile, le ruba un unguento che per errore lo trasformerà in asino. Solo mangiando delle rose potrà tornare umano, ma prima di trovarle affronterà situazioni di ogni tipo, che gli daranno prova della crudeltà umana.
La riduzione drammaturgica del romanzo, curata dagli stessi Colella e Lagi, agile e snella scorre piacevolmente. Gli autori hanno optato per un monologo pronunciato dal protagonista Lucio, che spesso include il suo flusso di pensieri e che in diverse occasioni si trasforma nella voce di altri personaggi, in un turbinio di parole che lasciano un'impressione di surrealtà.
Gli episodi, alleggeriti, si concatenano e sfumano l'uno nell'altro, in ognuno Colella si fa carico di impersonare tutti i presenti in scena lasciando volutamente una certa confusione nella sua interpretazione: non cambia voce quando cambia personaggio e il linguaggio corporeo accenna solo minime differenziazioni. La recitazione, rapida e senza interruzioni tra un episodio e l'altro, ha un carattere trasognato. Verrebbe da pensare che la storia dell'asino Lucio sia la rappresentazione di un sogno (o di un incubo). Considerato anche che la scenografia prevede un velo che avvolge l'attore e rende confusa la nostra visuale, il dubbio resta forte.
Con l'unico attore ingabbiato in una claustrofobica struttura cilindrica si potrebbe temere uno spettacolo statico e monotono, invece Colella trova spazi imprevisti, sfrutta ogni centimetro del piedistallo, lavora con la sua fisicità per creare figure sempre nuove.
Ricorrente è l'immagine del vortice: nel cilindro, nei movimenti del protagonista, nel susseguirsi degli episodi. Il rimando è alla situazione di Lucio, imprigionato in un corpo animalesco e in un'esistenza non desiderata da cui non riesce ad uscire. Paradossalmente è proprio in queste condizioni che riuscirà a capire tante cose, ad aprirsi a nuove esperienze e a nuovi incontri, fino a diventare un asino più umano degli umani. Alla fine questa, come ogni circostanza difficoltosa che si rispetti, avrà lasciato importanti insegnamenti.
Una variegata platea, comprendente, fra gli altri, universitari, forze dell'ordine e teatranti, riempie il Teatro Ringhiera e assiste attenta al bel lavoro di due giovani in gamba. Terminato lo spettacolo, applaude convinta.





http://www.teatrimilano.it/350-asinodoro-teatroringhiera-colella.htm

NAPOLEONE E L'ITALIA



L’incontro fra Talleyrand, Murat, Napoleone e Paolina Borghese è stato immaginato da Giorgio e Maria Stella Ruffolo all’interno del Museo Napoleonico. Fra gli oggetti, i quadri, i mobili e i busti di una famiglia che tanta parte ha avuto nella storia italiana, grazie a un narratore d’eccezione come Corrado Augias, i cimeli del museo riacquisteranno voce e vita nei ricordi di personaggi eccezionali.
NAPOLEONE E L’ITALIA di Giorgio e Maria Stella Ruffolo
con: Manuela Kustermann, Francesco Colella, Fabio Mascagni, Edoardo Sylos Labini
In scena, nelle vesti del narratore: Corrado Augias
A cura di Gioia Costa.

Nella foto gli attori con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Roma 22 luglio 2009 Museo Napoleonico.

LA CIMICE


La cimice, scrisse Majakovskij, “è la variante teatrale di quell’argomento fondamentale al quale ho dedicato versi e poemi. Si tratta della lotta contro il piccolo-borghese”.
Prisypkin è il prototipo di questa società. Un operaio che, per elevarsi socialmente, abbandona l'innamorata, rinnega gli ex compagni, si fidanza con la figlia di una parrucchiera.

Ma alla festa di nozze gli invitati, ubriachi, provocano un incendio. Muoiono tutti eccetto Prisypkin che, congelato dai getti d'acqua dei pompieri, è ritrovato cinquant'anni dopo in una lastra di ghiaccio e riportato in vita.
L’ex operaio si sveglia nel 1979, in un mondo asettico e freddo, nel quale sono banditi tutti i vizi e le emozioni, anche l’amore. Per lo spaesato Prisypkin l’unica gioia è l’alcool e l’unico amico una cimice, parassita debellato nel mondo del futuro, che genera nei presenti altrettanto disgusto quanto lo stesso Prisypkin.
E quando la cimice è portata allo zoo, l'uomo chiede e ottiene di seguire in gabbia l'amato insetto, unici eredi di un mondo che non esiste più.

Che cosa collega questa farsa paradossale di Majakovskij a noi, oggi? Questa è la domanda che Serena Sinigaglia si pone di fronte al testo. Scritto e ambientato nella prima parte nel 1929, La cimice è una riflessione lucidissima e disincantata sulla rivoluzione russa, o, meglio, su come nel giro di soli dieci anni quei valori siano stati completamente rinnegati e capovolti dagli stessi che li avevano affermati.
“Nessuno si salva”, osserva la regista, “e il futuro (nel quale si ambienta la seconda parte del testo), immaginato nel 1979 ma che potrebbe essere un qualsiasi futuro, mostra una realtà disintegrata e sterile. No, l'essere umano è destinato a distruggere e a distruggersi. È un animale schifoso, proprio come una cimice. E se lo schiacci puzza!”.

OGGI LA GRANDE PRIMA


IL GATTO CON GLI STIVALI - UNA RECITA CONTINUAMENTE INTERROTTA

IL GATTO CON GLI STIVALI - UNA RECITA CONTINUAMENTE INTERROTTA in scena dall'11 marzo 2009


"Sospetto che sia giusto un sotterfugio per diffondere certe idee. Dovrete convenire che è un testo rivoluzionario".(Ludwig Tieck)

Il poeta romantico Tieck si serve della famosa fiaba di Perrault per scrivere nel 1844 un pezzo di satira sul teatro.
La fiaba per bambini, dove alla morte del padre il fratello più giovane riceve l’eredità più misera, e cioè solo il gatto Hinze, viene recitata in una fittizia e paradossale rappresentazione teatrale, con il crescente malcontento del pubblico, che mostra di non gradire una pièce che mescola fantasia, umorismo e satira sociale.
La fiaba del poeta, frutto di raffinata cultura sui modelli di Aristofane, Shakespeare e Gozzi, continua nel modo più classico, ma il pubblico inferocito trova assurdo che creature favolose parlino come se fossero uomini, e mostra il suo disagio con frequenti interventi che interrompono lo spettacolo. Perfino il poeta deve comparire in scena per invocare pazienza e giustificare la libera irriverenza della commedia, ma riceve dal pubblico cieco e sordo un fitto lancio di frutta marcia.
In questa facile fiaba Tieck, cento anni prima di Pirandello e di Jarry, fa interloquire, come in un gioco del teatro nel teatro, finzione e realtà, immaginando che i suoi personaggi si auto-critichino e girino il mondo in “cerca d’autore”.
Il gatto con gli stivali
ovvero
Una recita continuamente interrotta
di Ludwig Tieck
elaborazione drammaturgica Ugo Tessitore
regia Carmelo Rifici
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Claudio De Pace
musiche a cura di Emanuele De Checchi
movimenti scenici Alessio Maria Romano
con (in ordine di apparizione) Andrea Germani, Elena Ghiaurov, Gianluigi Fogacci, Silvia Pernarella, Tindaro Granata, Giuseppe Sartori, Marco Grossi, Stella Piccioni, Andrea Luini, Giovanni Crippa, Pasquale Di Filippo, Sax Nicosia, Gabriele Falsetta, Francesco Colella, Massimo De Francovich, Clio Cipolletta, Sergio Leone
voce registrata Melania Giglio

produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

L'ASINO D'ORO - UN PROGETTO DI FRANCESCO COLELLA E FRANCESCO LAGI



con Francesco Colella
scene Margherita Baldoni
regia Francesco Lagi

Al centro del racconto c’è un giovane di successo che si ritrova, in seguito a uno sbaglio durante un rito magico, trasformato in un asino. Perde all’improvviso tutto ciò che si era conquistato in una vita, non solo la sua posizione sociale ma anche la parola, la postura, la dignità dell’uomo che era e che adesso non è più. Gli rimane però intatto il pensiero, sotto la scorza asinina le funzioni dell’anima continuano a agire in modo umano. Capisce perfettamente tutto quello che gli succede intorno ma non può opporsi al suo destino di animale da fatica perché adesso è per tutti solamente un asino. È intrappolato in un corpo di bestia, nel corpo dell’animale più umile e basso. Solo mangiando delle rose potrà tornare uomo. E da qui cominciano le sue disavventure. Un viaggio nella parte oscura di noi stessi, un lungo incubo apparentemente senza uscita che ha come altra faccia l’aspetto ridicolo dell’esistenza.

L’Asino d’oro è un romanzo scritto circa duemila anni fa. È un testo denso dove ci sono dentro così tanti fatti e personaggi da apparire un percorso labirintico pieno di sorprese e insidie. Lucio, il giovane protagonista, si muove in un mondo misterioso a momenti orribile e realistico e a momenti lieve e magico, dove si ha la sensazione che possa succedere di tutto. Uomini che si trasformano in animali, rapimenti avventurosi, amori corrisposti e dai tragici epiloghi, fughe, tradimenti e cruente torture.

Un unico attore, che interpreta Lucio, dà vita all’intera vicenda. Il romanzo di Apuleio è un racconto soggettivo, in prima persona come un percorso nell’inconscio. Lo stesso attore sarà sia colui che riporta le vicende accadute sia colui che le vive in prima persona, vivendo tutti i personaggi come emanazioni di sé, subendo la metamorfosi, diventando bestia, asino, nel modo più vivo e carnale possibile. Il nostro racconto dunque non sarà lineare né definitivo. Sarà un tentativo di raccontare un mistero.

La nostra drammaturgia vuole mantenere lo spirito e la modernità del romanzo di Apuleio senza rinunciare ai necessari tradimenti verso un’ opera narrativa che non nasce per il teatro. Si vuole rendere il senso di una ricerca interiore, di un percorso attraverso le molte voci che ci abitano. Alla fine Lucio riesce a ritrovare la sua condizione umana ma è profondamente cambiato. È un percorso dentro se stesso per arrivare alla definizione di sé.

Ai due estremi del racconto ci sono un asino e delle rose. Le rose, sacre e irraggiungibili, come l’aspirazione a qualcosa di alto. La ritrovata condizione umana, che corrisponde al risveglio dall’incubo, alla fine, non è altro che la conferma di trovarsi a metà fra bestialità e purezza, fra l’animale e il divino. L’umanità di Lucio è una dimensione di mezzo che ci rivela quello che siamo. E ci dice molto dello scarto in positivo che ognuno di noi potrebbe fare, ci parla di quello che potremmo essere.

Ci pare che il mondo di oggi abbia molte analogie col mondo di Lucio. Una società in crisi, annaspante verso un’infinità di desideri e di necessità, sia materiali che spirituali. Dove i rapporti fra le persone sono dominati dalla ferocia e dalla violenza e dove prevale lo sgretolamento della dimensione collettiva. È un testo molto attuale che parla di un mondo sull’orlo di un baratro dove le paure e i timori delle persone diventano credenze e magia. Dove l’aspetto religioso dell’esistenza è vissuto in modo caotico e soggettivo perché tutti vivono ogni giorno in prima persona la crisi degli dei e l’impossibilità della loro esistenza ma anche la necessità che qualcuno ci guardi dall’alto. E il senso delle cose è ricoperto da uno strato opaco che le rende lontane e incomprensibili.

RASSEGNA STAMPA: IL MANIFESTO 16 DICEMBRE 2007
La filosofia de "L'asino d'oro" - G. Cap. - Roma
L'asino d'oro di Apoleio è una favola, ma densa come un trattato filosofico e ricca di avventure come pochi sono stati in seguito capaci di emulare. Una umanità appunto che galoppa e strepita, raglia e lacrima nelle gesta del bel giovanotto che viaggia dapprima in forme e peripezie umane, ma poi, per una magica pozione incautamente provata, continua il proprio percorso sotto forme asinine. Con una prospettiva che ha certo il peso della fatica, ma consente inquadrature e prestazioni più efficaci e paradossali che non l'abito umano.
Spettacoli e variazioni sull'Asino d'oro sono state numerose, ma non va sottovalutato l'entusiasmo con cui Francesco Colella si cuce sulla propria misura un monologo tutto da godere e da ridere (alla Cometa off, ma presto in tournee). L'attore, che è cresciuto alla scuola e negli spettacoli di Luca Ronconi, modella il testo (elaborato assieme a Francesco Lagi che ne firma la regia) sulla propria fisicità e sulla propria lingua. Inizia quasi in souplesse, ma si lascia poi trasportare del ritmo frenetico della vita mossa dalla sensualità. Con i tempi del racconto e della risata, ci conduce i quella odissea asinina alla ricerca delle fatidiche rose, unico antidoto al maleficio. Senza risparmio e con un piacere che trasmette agli spettatori, Colella macina chilometri sul suo cerchio di sale, mentre una colonna sonora di rumori e suggestioni rende il racconto quasi cinematografico.

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE




Luca Ronconi porta in scena con un cast di giovani attori uno dei testi più belli, celebri, misteriosi e affascinanti di Shakespeare.
Il Sogno di una notte di mezza estate è l’opera di Shakespeare che rivela una maggiore libertà di fantasia. Della storia di Titania e Oberon, degli intrighi d’amore di Elena, Lisandro, Ermia e Demetrio, il regista coglie la possibilità di un «testo che si presta a più livelli di lettura, ricco com’è di simboli, allegorie, risvolti psicanalitici, spesso oscuri al suo stesso autore. Ma è anche la storia di una iniziazione all’amore, di coppie che si compongono e scompongono: quattro giovani sono alle prese con i misteri del sentimento e della passione, con la loro assoluta mutevolezza. È un’opera assai adatta a essere interpretata da un gruppo di giovani, che scoprono i trucchi del teatro come i loro personaggi restano vittime di quelli dell’amore».

locandina
Teatro Strehler
(anteprime 23-24 ottobre)
25 ottobre - 2 novembre 2008
12 - 23 novembre 2008
9 - 23 gennaio 2009

Sogno di una notte di mezza estate
di William Shakespeare
traduzione Agostino Lombardo e Nadia Fusini
regia Luca Ronconi
scene Margherita Palli
costumi Antonio Marras
musiche a cura di Paolo Terni
luci A. J. Weissbard
con (in ordine alfabetico) Riccardo Bini, Francesca Ciocchetti, Francesco Colella, Pierluigi Corallo, Giovanni Crippa, Raffaele Esposito, Gianluigi Fogacci, Alessandro Genovesi, Elena Ghiaurov, Melania Giglio, Marco Grossi, Sergio Leone, Giovanni Ludeno, Silvia Pernarella, Fausto Russo Alesi
e con Clio Cipolletta, Gabriele Falsetta, Andrea Germani, Andrea Luini, Stella Piccioni
e con la partecipazione di Jacopo Crovella, Mario Fedeli, Antonio Gargiulo, Sandro Pivotti
produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa