Francesco Colella alla 68ma MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA 2011 di VENEZIA

nel film di
FRANCESCO LAGI - MISSIONE DI PACE [FUORI CONCORSO] con Silvio Orlando, Francesco Brandi, Alba Rohrwacher, Filippo Timi, Antonella Attili.


http://www.labiennale.org/it/cinema/film/sez-aut/sic/




Trama:
La storia ha per protagonista il capitano Vinciguerra (Orlando) alla guida di un manipolo di soldati (tra cui Rohrwacher e Bugo) in una comica e avventurosa missione di pace che parte dal Nord Est dell'Italia fino ai Balcani. Quello che il capitano non poteva immaginare è di dover affrontare la sua missione a fianco del suo peggior nemico: suo figlio (Brandi), un agguerrito pacifista.


...Con Missione di pace, del toscano Francesco Lagi, che programmiamo fuori concorso in chiusura dei nostri giorni veneziani, offriamo il nostro apporto alla definizione di quelle che potrebbero essere le strade da imboccare da parte del genere “commedia”: qui siamo dalle parti della satira grottesca dei film militaristi e insieme antimilitaristi, una sorta di mix scanzonato e ridanciano di armate monicelliane, di soldati alla Salvatores, di irriverenze alla Richard Lester o alla Robert Altman. Una delle tante missioni di pace nei territori balcanici, un giovane pacifista convinto ma esageratamente velleitario che piomba nella compagnia di soldati capitanata dal padre Silvio Orlando, con il quale i conflitti sono arrivati all’apice (la famiglia, dicevamo), la cattura di un pericoloso criminale di guerra (episodio di grande attualità nel momento stesso in cui scriviamo). Il tutto espresso con una sana e scatenata fantasia...
                                              
Estratto da "scelte di campo" di F. Di Pace nel contesto della presentazione della 26ma SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA all'interno della 68ma MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA 2011


http://www.sicvenezia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=150%3Apresentazione-dipace&catid=51%3Asic-2011&lang=it


il regista FRANCESCO LAGI


il regista e ALBA ROHRWACHER

SILVIO ORLANDO e ALBA ROHRWACHER

Realizzazione palma_scultorea per l'opera teatrale "APOCALISSE... una domenica a Patmos" con Francesco Colella
foundfootage sound and music: Giuseppe D'Amato

APOCALISSE (una domenica a Patmos)

progetto grafico D. Tozzo

TEATRODILINA 
presenta
APOCALISSE (UNA DOMENICA A PATMOS)
da L’Apocalisse di Giovanni

con Francesco Colella
foundfootage music and sound Giuseppe D’Amato
musiche originali Alessandro Linzitto – “Linz”
scenografie Salvo Ingala
aiuto regia Leonardo Maddalena
regia Francesco Lagi
foto di D. Lasagni

APOCALISSE  (UNA DOMENICA A PATMOS) – Alcune note
Un uomo sta da solo su una piccola isola del Mediterraneo. È esiliato, costretto alla solitudine, lontano da tutto. Si chiama Giovanni. È domenica e su quell’isoletta tutto tace. Primo pomeriggio, monotono frinire di cicale, fa caldo. All’improvviso sente alle sue spalle una voce che lo chiama. Beato chi legge e chi ascolta e chi crede alla profezia perché il momento è vicino.

L’Apocalisse è la fine del mondo. L’Apocalisse non è uno scherzo. L’Apocalisse è una profezia. L’Apocalisse non è un racconto. L’Apocalisse è la verità. L’Apocalisse non è la realtà. L’Apocalisse è un attimo. L’Apocalisse non è una preghiera. L’Apocalisse è un paio di occhiali. L’Apocalisse non è un libro. L’Apocalisse è un coccio di vetro. L’Apocalisse non è uno zoo. L’Apocalisse è un attacco di panico. L’Apocalisse non è un regime dietetico. L’Apocalisse è una donna incinta. L’Apocalisse non è un cono da un euro. L’Apocalisse è ultima. L’Apocalisse non è una Mini Cooper. L’Apocalisse è un miele amaro. L’Apocalisse non è una partita di pallone. L’Apocalisse è un tuffo nel mare. L’Apocalisse non è una citazione. L’Apocalisse è l’inizio di un mondo nuovo.



Bologna
26/05/2011 ore 21.00 
Aula Magna di Santa Lucia, via Castiglione, 36

Roma
30/05/2011 ore 21.00
LOST IN LOFT, via Affogalasino, 34



foto di D. Lasagni

UBU 2010 - PREMIAZIONE

BOLOGNA giovedì 26/05/2011 ore 21

DIRETTA WEB ORE 21.00 SU www.classics.unibo.it/permanenza
Apocalisse
(una domenica a Patmos)
dall’Apocalisse di Giovanni
con Francesco Colella
regia
Francesco Lagi
Giovedì 26 maggio 2011, ore 21
Aula Magna di Santa Lucia

Nota di regia
Un uomo sta da solo su una piccola isola del Mediterraneo. È esiliato, costretto alla solitudine, lontano da tutto. Si chiama Giovanni e sta passando gli ultimi anni della sua vita. È domenica e su quell’isoletta tutto tace. Primo pomeriggio, monotono frinire di cicale, fa caldo. All’improvviso sente alle sue spalle una voce che lo chiama. E da quel momento, Giovanni si perde in un’esperienza ultraterrena. Sente cose che nessuno ha mai sentito e vede cose che nessuno ha mai visto. L’Apocalisse è la descrizione di questa esperienza, un resoconto che non si fa mai racconto, dove la percezione di Giovanni non è mai così cosciente da diventare
struttura narrativa. È un rapimento in estasi, in uno stato di sonno, di sogno, di visione. L’esperienza di un vecchio, picchiatello e abbandonato. Tutto si svolge in un attimo, non c’è dentro l’Apocalisse un tempo orizzontale che si srotola in modo progressivo, è una grande visione, un lungo e immediato big bang. La visione dell’Apocalisse è terribile, per lunghi tratti violenta e sanguinante, coinvolge Giovanni a tal punto e con una prepotenza tale che non gli lascia respiro. Quello che colpisce, però, una volta terminato il viaggio, è il senso di appagante serenità che lo pervade e che contagia il lettore o l’ascoltatore. Ecco, quello che vogliamo suggerire, al di là dell’orizzonte sacro o divino di questo che è l’ultimo libro della Bibbia, è un senso di profonda dolcezza. Si parla di un piccolo uomo solo, che accoglie il mistero del dolore umano e del
male del mondo. E avverte la possibilità di una nuova vita e la sensazione felice che presto ci sarà. O che è già arrivata.
Francesco Lagi

Da uomo ad animale, e di nuovo uomo. "L'asino d'oro" va in scena a Bologna

6 maggio 2010

Intervista a  Francesco Colella
A cura di: Matteo Benni
Dopo la lezione di Umberto Eco che aprirà il ciclo di letture di testi classici "Animalia", andrà in scena un monologo teatrale tratto dal famoso romanzo di Apuleio. La regia è di Francesco Lagi, unico interprete sul palco Francesco Colella. "E' il tentativo - dice - di raccontare un mistero"
Parte nell'Aula Magna di Santa Lucia l'appuntamento con le letture e riletture dei testi classici. "Animalia", e quindi il rapporto tra uomo, anima e animali, è il filo conduttore scelto per gli incontri di quest'anno. L'apertura è affidata a Umberto Eco, con la lezione "Animal ex anima. L'anima degli animali". Poi un momento di teatro: per la regia di Francesco Lagi, Francesco Colella porterà in scena, sotto forma di monologo, "L'asino d'oro" di Apuleio. Mentre era impegnato a preparare la scenografia e a mettere a punto gli ultimi dettagli tecnici, abbiamo trovato il tempo per fare qualche domanda all'attore.


Come siete arrivati, tu e Francesco Lagi, a decidere di mettere in scena "L'asino d'oro"?
Francesco ed io ci conosciamo da tempo, lui è un regista con uno sguardo molto pulito e moderno, e c'era la voglia di fare teatro insieme. Così abbiamo iniziato e leggere testi teatrali in cerca di spunti. A un certo punto, per caso, mi sono imbattuto nella lettura de "L'asino d'oro": ho subito pensato di proporlo e, visto che l'idea è piaciuta ad entrambi, abbiamo iniziato a lavorare sul testo.

Un testo che è, in originale, un romanzo. Come lo avete trasformato in un monologo teatrale?
Abbiamo iniziato a leggerlo insieme e mentre lo leggevamo abbiamo cercato di identificare un plot, un percorso poetico all'interno del testo. Abbiamo voluto il più possibile non tradire, nella trasposizione, lo spirito dell'opera. L'idea è stata quella di rendere la narrazione in soggettiva. L'attore è il protagonista, Lucio, e con lo scorrere della storia si imbatte nei vari personaggi via via incarnandoli: un uomo abitato da tante voci. Abbiamo quindi messo a punto uno scrittura fluida, liquida, che passa senza soluzione di continuità dalla prima alla terza persona e poi di nuovo alla prima.

Che cosa restituisce secondo te al lettore e in questo caso allo spettatore un testo come questo?
E' il tentativo di raccontare un mistero. Lucio, il protagnista, si trova in Tessaglia, una terra di incantesimi, misteriosa, un terra sospesa, ed è pieno di un'inquietudine adolescenziale, di curiosità e anche di sensualità. E' ospite del ricco Milone e di sua moglie Panfile, che con alcuni unguenti magici riesce a trasformarsi in uccello. A quella vista, anche Lucio vuole provare, ma per un errore si tramuta invece in un asino. Un errore che rappresenta la stortura della conoscenza: da uccello, animale che vola e quindi domina le cose, a una bestia, l'asino, con gli occhi che puntano il terreno, che soffre la fatica e i maltrattamenti. E' l'inizio di un percorso dolorosissimo nel quale però il protagonista entra in contatto con l'essenza più concreta dell'umanità, finisce per conoscere veramente chi sono gli uomini.

E come si chiude questo percorso?
Lucio ne esce come si esce da una malattia, c'è una sorta di rinascita. Non è la conquista della saggezza o l'arrivo della maturità, ma un ritorno a una strana innocenza, quasi infantile.

Quando si rivisita un testo classico si pone sempre il problema dell'attualizzazione: se mantenere o meno l'ambientazione passata, se fare qualcosa per adattarlo ai tempi. Come avete affrontato questo punto?
C'è poco da attualizzare in realtà. I classici contengono un mistero che va rispettato: c'è una distanza tra il mondo dei classici e il nostro e questa distanza va segnalata, non accorciata. Sono testi che vanno abitati come luoghi sconosciuti. L'attualizzazione, credo, finisce per impoverirli, è un cucirsi i testi addosso su misura, e così facendo i testi perdono valore. Credo si debba rispettare lo spirito delle parole, e offrire l'idea del mistero che il testo contiene. Penso che, in un caso come questo, il compito dell'attore sia offrire agli occhi del pubblico anche il disagio di abitare un tale mistero.

Sarai da solo sul palco. Come avete organizzato la messa in scena?
La messa in scena è stata un lavoro di squadra, collettivo. Oltre a Francesco Lagi ed io, ci sono le scene e i costumi di Margherita Baldoni, e lo svolgersi del racconto sarà accompagnato da una partitura musicale scritta per l'occasione da Giuseppe D'Amato e Linz. Io sarò su una pedana nera circolare, riempita di una sabbia bianca, qualcosa che restituisce l'idea di una spiaggia, ma anche una sensazione di sospensione. Insieme a me ci sarà soltanto una radice: una radice di quercia che abbiamo trovato e che ha la forma di una testa d'asino. Non è stata scolpita, l'abbiamo trovata già con quella forma. Mi servirà come appoggio, mi ci siederò sopra, ma diventerà anche un mio interlocutore.

Lo spettacolo andrà in scena dopo una lezione di Umberto Eco e all'interno di in una manifestazione universitaria.
E' un contesto bellissimo. Portare lo spettacolo in un'Università svela una curiosità e un interesse da parte del pubblico molto più forte e fresca di quanto può emergere in altre, più canoniche, situazioni. Credo che una serata come questa crei uno scambio molto bello. Si capisce da cose come queste quanto l'Università abbia voglia di uscire all'esterno, anche per rendere vivo quello che dentro l'Università si insegna e si studia.

GAZZETTA DEL SUD mercoledì 16 febbraio 2011

Al catanzarese Colella il premio Ubu 2010 
Francesco Colella e Gioele Dix durante la cerimonia di consegna degli UBU 2010
Danila Letizia
Il Premio Ubu 2010 per la categoria "Migliore attore non protagonista" per l'interpretazione in "Dettagli" di Lars Noren (di cui foto) e per "Il mercante di Venezia" è andato al catanzarese Francesco Colella.
Da qualche anno nella compagnia stabile del "Piccolo Teatro" di Milano guidata da Luca Ronconi il giovane talento della nostra terra ha catalizzato l'interesse dei critici, tanto che ad un certo punto... «Sono stato chiamato dal patron Franco Quadri che mi ha avvisato della nomination ed invitato ad essere presente alla cerimonia di premiazione», ci ha raccontato Colella.
«Ho urlato dalla gioia – ha poi aggiunto l'artista – perché è un riconoscimento critico che mi mancava. Evidentemente è trapelata dal mio attuale modo di recitare una certa crescita che si è liberata di alcuni formalismi ed ha acquisito una maggiore naturalezza che arriva di più al pubblico».
- C'è una motivazione particolare che ti ha consentito di avere questa evoluzione?
«Penso che la maturazione di alcune mie vicende personali che mi hanno fatto crescere come persona sia coincisa con una diversa modalità di comunicare attraverso questo mestiere. In più cerco continuamente di coltivare mie esperienze professionali a latere, oltre che godere del privilegio di essere uno strumento dell'arte di Ronconi, che mi permettono di mettermi continuamente alla prova. Uscirà, infatti, un film nelle sale cinematografiche in autunno prossimo con Silvio Orlando a cui ho partecipato, sono Renzo nella rielaborazione del Testori "I Promessi Sposi alla prova" ed il 27 maggio, per esempio all'Università di Bologna sarò solo ne "L'Apocalisse di Giovanni" con la regia di Francesco Lagi con il quale ho fatto "L'asino d'oro" al Politeama di Catanzaro lo scorso maggio».
- A proposito della tua città e dei circuiti teatrali che cosa pensi?
«Per me il Teatro è riflessione su di sé attraverso quello che viene rappresentato sulla scena e non mera ammirazione dei virtuosismi di questo o quell'attore. Se un teatro serve solo a dare lustro alla città allora si è sulla strada sbagliata perché il motore principale dovrebbe essere quello della conoscenza altrimenti si tratta di un rito appassito».
- Cosa ricorda dei suoi primi passi?
«Ho iniziato con Lillo Zingaropoli, e poi sono passato alla scuola di Salvatore Corea, che oltre ad essere formatrice della mia attuale professione, è stata importante nella formazione della mia vita. Mi ricordo soprattutto l'insegnamento di Salvatore che ripeteva: "L'accoglienza e l'andare d'accordo sono le cose da cui partire". Ho anche un bellissimo ricordo di Pino Michienzi che per me, fin da quando ero piccolo, è stato un punto di riferimento».
L'Ubu fondato nel 1979 dal critico Franco Quadri, è considerato il riconoscimento più importante di teatro in Italia ed è così chiamato dal riferimento all'opera teatrale Ubu re (Ubu roi) di Alfred Jarry, drammaturgo francese.