Da uomo ad animale, e di nuovo uomo. "L'asino d'oro" va in scena a Bologna

6 maggio 2010

Intervista a  Francesco Colella
A cura di: Matteo Benni
Dopo la lezione di Umberto Eco che aprirà il ciclo di letture di testi classici "Animalia", andrà in scena un monologo teatrale tratto dal famoso romanzo di Apuleio. La regia è di Francesco Lagi, unico interprete sul palco Francesco Colella. "E' il tentativo - dice - di raccontare un mistero"
Parte nell'Aula Magna di Santa Lucia l'appuntamento con le letture e riletture dei testi classici. "Animalia", e quindi il rapporto tra uomo, anima e animali, è il filo conduttore scelto per gli incontri di quest'anno. L'apertura è affidata a Umberto Eco, con la lezione "Animal ex anima. L'anima degli animali". Poi un momento di teatro: per la regia di Francesco Lagi, Francesco Colella porterà in scena, sotto forma di monologo, "L'asino d'oro" di Apuleio. Mentre era impegnato a preparare la scenografia e a mettere a punto gli ultimi dettagli tecnici, abbiamo trovato il tempo per fare qualche domanda all'attore.


Come siete arrivati, tu e Francesco Lagi, a decidere di mettere in scena "L'asino d'oro"?
Francesco ed io ci conosciamo da tempo, lui è un regista con uno sguardo molto pulito e moderno, e c'era la voglia di fare teatro insieme. Così abbiamo iniziato e leggere testi teatrali in cerca di spunti. A un certo punto, per caso, mi sono imbattuto nella lettura de "L'asino d'oro": ho subito pensato di proporlo e, visto che l'idea è piaciuta ad entrambi, abbiamo iniziato a lavorare sul testo.

Un testo che è, in originale, un romanzo. Come lo avete trasformato in un monologo teatrale?
Abbiamo iniziato a leggerlo insieme e mentre lo leggevamo abbiamo cercato di identificare un plot, un percorso poetico all'interno del testo. Abbiamo voluto il più possibile non tradire, nella trasposizione, lo spirito dell'opera. L'idea è stata quella di rendere la narrazione in soggettiva. L'attore è il protagonista, Lucio, e con lo scorrere della storia si imbatte nei vari personaggi via via incarnandoli: un uomo abitato da tante voci. Abbiamo quindi messo a punto uno scrittura fluida, liquida, che passa senza soluzione di continuità dalla prima alla terza persona e poi di nuovo alla prima.

Che cosa restituisce secondo te al lettore e in questo caso allo spettatore un testo come questo?
E' il tentativo di raccontare un mistero. Lucio, il protagnista, si trova in Tessaglia, una terra di incantesimi, misteriosa, un terra sospesa, ed è pieno di un'inquietudine adolescenziale, di curiosità e anche di sensualità. E' ospite del ricco Milone e di sua moglie Panfile, che con alcuni unguenti magici riesce a trasformarsi in uccello. A quella vista, anche Lucio vuole provare, ma per un errore si tramuta invece in un asino. Un errore che rappresenta la stortura della conoscenza: da uccello, animale che vola e quindi domina le cose, a una bestia, l'asino, con gli occhi che puntano il terreno, che soffre la fatica e i maltrattamenti. E' l'inizio di un percorso dolorosissimo nel quale però il protagonista entra in contatto con l'essenza più concreta dell'umanità, finisce per conoscere veramente chi sono gli uomini.

E come si chiude questo percorso?
Lucio ne esce come si esce da una malattia, c'è una sorta di rinascita. Non è la conquista della saggezza o l'arrivo della maturità, ma un ritorno a una strana innocenza, quasi infantile.

Quando si rivisita un testo classico si pone sempre il problema dell'attualizzazione: se mantenere o meno l'ambientazione passata, se fare qualcosa per adattarlo ai tempi. Come avete affrontato questo punto?
C'è poco da attualizzare in realtà. I classici contengono un mistero che va rispettato: c'è una distanza tra il mondo dei classici e il nostro e questa distanza va segnalata, non accorciata. Sono testi che vanno abitati come luoghi sconosciuti. L'attualizzazione, credo, finisce per impoverirli, è un cucirsi i testi addosso su misura, e così facendo i testi perdono valore. Credo si debba rispettare lo spirito delle parole, e offrire l'idea del mistero che il testo contiene. Penso che, in un caso come questo, il compito dell'attore sia offrire agli occhi del pubblico anche il disagio di abitare un tale mistero.

Sarai da solo sul palco. Come avete organizzato la messa in scena?
La messa in scena è stata un lavoro di squadra, collettivo. Oltre a Francesco Lagi ed io, ci sono le scene e i costumi di Margherita Baldoni, e lo svolgersi del racconto sarà accompagnato da una partitura musicale scritta per l'occasione da Giuseppe D'Amato e Linz. Io sarò su una pedana nera circolare, riempita di una sabbia bianca, qualcosa che restituisce l'idea di una spiaggia, ma anche una sensazione di sospensione. Insieme a me ci sarà soltanto una radice: una radice di quercia che abbiamo trovato e che ha la forma di una testa d'asino. Non è stata scolpita, l'abbiamo trovata già con quella forma. Mi servirà come appoggio, mi ci siederò sopra, ma diventerà anche un mio interlocutore.

Lo spettacolo andrà in scena dopo una lezione di Umberto Eco e all'interno di in una manifestazione universitaria.
E' un contesto bellissimo. Portare lo spettacolo in un'Università svela una curiosità e un interesse da parte del pubblico molto più forte e fresca di quanto può emergere in altre, più canoniche, situazioni. Credo che una serata come questa crei uno scambio molto bello. Si capisce da cose come queste quanto l'Università abbia voglia di uscire all'esterno, anche per rendere vivo quello che dentro l'Università si insegna e si studia.

GAZZETTA DEL SUD mercoledì 16 febbraio 2011

Al catanzarese Colella il premio Ubu 2010 
Francesco Colella e Gioele Dix durante la cerimonia di consegna degli UBU 2010
Danila Letizia
Il Premio Ubu 2010 per la categoria "Migliore attore non protagonista" per l'interpretazione in "Dettagli" di Lars Noren (di cui foto) e per "Il mercante di Venezia" è andato al catanzarese Francesco Colella.
Da qualche anno nella compagnia stabile del "Piccolo Teatro" di Milano guidata da Luca Ronconi il giovane talento della nostra terra ha catalizzato l'interesse dei critici, tanto che ad un certo punto... «Sono stato chiamato dal patron Franco Quadri che mi ha avvisato della nomination ed invitato ad essere presente alla cerimonia di premiazione», ci ha raccontato Colella.
«Ho urlato dalla gioia – ha poi aggiunto l'artista – perché è un riconoscimento critico che mi mancava. Evidentemente è trapelata dal mio attuale modo di recitare una certa crescita che si è liberata di alcuni formalismi ed ha acquisito una maggiore naturalezza che arriva di più al pubblico».
- C'è una motivazione particolare che ti ha consentito di avere questa evoluzione?
«Penso che la maturazione di alcune mie vicende personali che mi hanno fatto crescere come persona sia coincisa con una diversa modalità di comunicare attraverso questo mestiere. In più cerco continuamente di coltivare mie esperienze professionali a latere, oltre che godere del privilegio di essere uno strumento dell'arte di Ronconi, che mi permettono di mettermi continuamente alla prova. Uscirà, infatti, un film nelle sale cinematografiche in autunno prossimo con Silvio Orlando a cui ho partecipato, sono Renzo nella rielaborazione del Testori "I Promessi Sposi alla prova" ed il 27 maggio, per esempio all'Università di Bologna sarò solo ne "L'Apocalisse di Giovanni" con la regia di Francesco Lagi con il quale ho fatto "L'asino d'oro" al Politeama di Catanzaro lo scorso maggio».
- A proposito della tua città e dei circuiti teatrali che cosa pensi?
«Per me il Teatro è riflessione su di sé attraverso quello che viene rappresentato sulla scena e non mera ammirazione dei virtuosismi di questo o quell'attore. Se un teatro serve solo a dare lustro alla città allora si è sulla strada sbagliata perché il motore principale dovrebbe essere quello della conoscenza altrimenti si tratta di un rito appassito».
- Cosa ricorda dei suoi primi passi?
«Ho iniziato con Lillo Zingaropoli, e poi sono passato alla scuola di Salvatore Corea, che oltre ad essere formatrice della mia attuale professione, è stata importante nella formazione della mia vita. Mi ricordo soprattutto l'insegnamento di Salvatore che ripeteva: "L'accoglienza e l'andare d'accordo sono le cose da cui partire". Ho anche un bellissimo ricordo di Pino Michienzi che per me, fin da quando ero piccolo, è stato un punto di riferimento».
L'Ubu fondato nel 1979 dal critico Franco Quadri, è considerato il riconoscimento più importante di teatro in Italia ed è così chiamato dal riferimento all'opera teatrale Ubu re (Ubu roi) di Alfred Jarry, drammaturgo francese.