drammaturgia di Sandro
Lombardi e Federico
Tiezzi
regia Federico
Tiezzi
Il maestro Sandro
Lombardi
L'attore che fa
Renzo Francesco
Colella
L'attrice che fa
Lucia Debora
Zuin
L'attrice che fa
Agnese Marion D'Amburgo
L'attrice che fa
Perpetua Caterina Simonelli
L'attore che fa
Egidio Alessandro
Schiavo
L'attore che fa don
Rodrigo Massimo Verdastro
L'attrice che fa Gertrude Iaia
Forte
scene Pier Paolo Bisleri
costumi Giovanna
Buzzi
luci Gianni
Pollini
regista assistente Giovanni
Scandella
maestro di canto Francesca
della Monica
produzione Teatro
Metastasio - Stabile della Toscana/Teatro Stabile di Torino/Compagnia Sandro
Lombardi
Descrizione
Su un palcoscenico di
fortuna, è da supporre in qualche quartiere non proprio "bene" di
Milano, un Maestro, capocomico all'antica, si affanna a far interpretare a un
gruppo di attori comicamente scalcagnati nientemeno che il capolavoro di Manzoni.
Così iniziano I promesi sposi alla prova,
testo con cui nel 1984 Giovanni Testori, dopo le riscritture da Shakespeare e
da Sofocle, approda a questo suo inevitabile traguardo.
Interesse principale
dell'autore è quello di fare del romanzo uno "specchio" in cui riflettere
i suoi "anni tribolatissimi" che, a ben vedere, sono anche i nostri.
Quante pesti ci affliggono! quella del degrado dell'ambiente, dell'indurimento
dei cuori, dell'omologazione delle coscienze, dell'allontanamento graduale
dalla realtà, dell'incapacità di vedere la trasformabilità della società.
Soprattutto la peste della
chiusura alla diversità, alla comunicazione, al mondo.
Ed è al desiderio di
aprire gli occhi sulla realtà (e con lo strumento dell'umorismo manzoniano) che
gli interventi testoriani si appigliano per dissezionare i nuclei narrativi
originari e ricomporli in parabole insieme sceniche e morali.
A differenza delle sue
reinvenzioni scespiriane, sin dal titolo segnalate da una deformazione
linguistica (L'Ambleto, Macbeth), in questo caso
resta intatta, quasi fosse intangibile, la formula manzoniana; vi si aggiunge
solo la specificazione: "alla prova". In queste due parole sta non
solo l'indicazione che il romanzo verrà spinto nel territorio del teatro; ma
tutta l'immensa portata dell'intera opera, e forse dell'intera vita, di
Testori: la verifica dei propri amori, delle proprie passioni umane e
culturali: "mettere alla prova"...
Del resto, il
"mettere alla prova" è, in tutti i sensi, il cuore del lavoro
registico, nel doppio senso di "mettere in prova" la praticabilità
teatrale di un testo o comunque di un'ipotesi scenica, e di
"verificare" la sua tenuta in una situazione storica mutata. E su
queste premesse si basa il lavoro di Tiezzi: non una spiegazione del romanzo ma,
come desiderava Testori, una "lezione e un monito" perché I Promessi Sposi sono
"il romanzo della storia, e il popolo incarna questa storia nella libertà
più assoluta".
In una struttura
pirandelliana simile a quella dei Sei
personaggi in cerca d'autore, su di un palcoscenico nudo, si svolge
la prova di una "commedia da fare" dove ai temi di riflessione sul
teatro e sui suoi modi comunicativi, si mescolano i grandi motivi manzoniani
della pietà, della grazia, del male e della morte, della Provvidenza e della salvezza.
Don Abbondio, Renzo, Lucia, fra Cristoforo, l'Innominato, don Rodrigo tornano a
noi attraverso il corpo e la voce dei protagonisti della "prova" in
un mescolamento di azioni e di ruoli di grande vivacità teatrale.
Con questo spettacolo
Tiezzi affronta insieme Testori e Manzoni, al fine di dire anche una parola non
retorica ma che parta dal basso, dagli umili, dai diseredati, da coloro che
identificano la vita con il rispetto del prossimo, del mondo e della storia -
una parola relativa al centocinquantesimo
anniversario dell‘Unità d'Italia, quella unità che Manzoni
contribuì a creare dal punto di vista linguistico-letterario, innestando la
tradizione lombarda in quella toscana. Unità della lingua come unità di una
nazione: la cultura non è qualcosa di separato dalla storia ma addirittura la
determina.
Nella teatrografia di
Federico Tiezzi, questiPromessi
sposi alla prova vengono a costituire un ideale dittico con
il Simon Boccanegrarecentemente
diretto alla Staatsoper di Berlino e poi alla Scala: Verdi e Manzoni hanno
contribuito "da artisti", e come mai nessun altro artista, all'unità
della nazione.
La recensione di Silvia Cosentino
Persone e personaggi alla prova
Chissà se, meditando sull'espediente del manoscritto anonimo, Alessandro Manzoni era cosciente di segnare per sempre la storia della letteratura. Chissà se, risciacquando i panni in Arno, era cosciente di ridisegnare anche le sorti della lingua italiana. Di certo possiamo dire che pressoché ognuno di noi si è trovato a misurarsi con quell'indiscusso capolavoro che risponde al nome di I promessi sposi, tanto odiato e temuto tra i banchi di scuola perché imposto, quanto apprezzato in età matura perché consapevolmente scelto. In ogni caso, romanzo impossibile da ignorare, se non altro per le varie trasposizioni operate nel tempo: dallo storico sceneggiato del 1967, in cui il maestro Sandro Bolchi riunì con abile regia attori del calibro di Tino Carraro, a quello, valido ma forse meno convincente, del 1989 firmato da Salvatore Nocita, passando per parodie (dal celeberrimo Trio agli Oblivion) e fumetti che ne hanno accresciuto la popolarità, se mai ce ne fosse stato bisogno.
C'è anche la storia di Renzo e Lucia tre le incursioni concettuali e linguistiche dello scrittore, drammaturgo, storico dell'arte (e molto altro ancora) Giovanni Testori: come molte sue altre produzioni, I promessi sposi alla prova (1984) mettono in discussione, scardinano, pur sempre amando, la fonte originaria, esprimendo una conflittualità di non semplice risoluzione. Federico Tiezzi e Sandro Lombardi accolgono questa affascinante sfida, dopo la fortunatissima messinscena di Ambleto dello stesso Testori (Premio Ubu 2002 per l'interpretazione di Lombardi), forti di una solida drammaturgia e della presenza di nomi ormai storici per la compagnia, nonché di nuovi validi interpreti che già abbiamo avuto modo di apprezzare altrove.
Il retro di un teatro grigio e scalcinato: un tavolo rettangolare in primo piano, due scale laterali e una centrale portano a una zona sopraelevata delimitata da un sipario-tendone da circo rosso, in cui si trova un altro tavolo con sedie; una porta e varie uscite delimitate da un'altra scala e dalle semplici quinte. Sandro Lombardi è Il Maestro, come da tutti verrà chiamato, nostalgico delle tradizioni e di un'interpretazione pomposa alla vecchia maniera, solo a tratti conscio di quanto il teatro abbia bisogno di essere rinnovato e spolverato. Egli guida un gruppo di attori verso la scoperta e la messinscena del romanzo manzoniano, corregge la dizione esasperando la metrica, interviene e interrompe, alla stregua delcapocomico pirandelliano (la cui poetica e i meccanismi metateatrali sono evidenti e tangibili in molti momenti dello spettacolo). Non si limita a restare fuori, osservando la scena da molteplici punti del palco, ma si inserisce interpretando ora un vile e buffo Don Abbondio, ora un minaccioso e decadente Innominato, semplicemente aggiungendo mantelli al completo grigio: con la maestria e la delicatezza che sempre lo contraddistinguono, Lombardi regala una coinvolgente interpretazione, con intensi monologhi costantemente sospesi tra la derisione e l'apprezzamento verso un certo modoclassico di far teatro. Si fa tremendamente sul serio, scherzando.
Gli attori sono in prova, messi alla prova, nel teatro come nella vita. Spulciano il testo, prendono appunti, cercando di carpire e capire ogni indicazione del Maestro: riflettono, si guardano tra loro, non sempre capendo, scalpitano per mettere in pratica ciò che stanno studiando a tavolino. In continua altalena tra persona e personaggio (ecco ancora la forte derivazione pirandelliana), non hanno altra identità nominale se non quella del ruolo che vanno a interpretare; allo stesso tempo, ognuno è vestito a proprio modo, eccezion fatta per alcuni accessori e oggetti di cui via via si muniscono. Escono ed entrano in continuazione dal personaggio, spesso senza cambiare registro: il pubblico, a cui molte volte gli attori e ilMaestro si rivolgono, viene disorientato e chiamato a partecipare di una finzione nella finzione i cui confini sono tutt’altro che definiti. Nel ripercorrere le vicende salienti di Renzo e Lucia, la prova è frammentata, continuamente interrotta da dubbi e proteste, con il ritmo incalzante delle esibizioni circensi, appunto.
Da un lato, gli attori navigati rivendicano un ruolo a loro consono, di spicco, una lunga parte su cui crogiolarsi e gigioneggiare: Marion D'Amburgo è un'Agnese dalle narrazioni interminabili, il sempre simpatico Massimo Verdastroun'improbabile Don Rodrigo (tutto fuorché minaccioso), Iaia Forte una Gertrude ridondante dal trucco carico, ammuffita e relegata in cantina. Dall'altro lato, gli attori giovani vogliono capire, sentire la parte, trovare un modo personale di interpretare, fanno fatica a comprendere la potenza della Parola, più volte citata dal Maestro: la parola che evoca monti che in realtà non ci sono, che crea distanze chilometriche sulle tavole del palcoscenico, che tratteggia fisicità e carattere dei personaggi. L’attore di Francesco Colella è impetuoso, cocciuto e sanguigno proprio come Renzo, commuove per la freschezza e la passione con cui si approccia alla parte. Il bel viso di Debora Zuin è quello dell'Attrice che fa Lucia, come lei timorosa e delicata. Caterina Simonelli (già bella e vigorosa protagonista in Scene da Romeo e Giulietta di Tiezzi) è l'attrice giovane incastrata nel ruolo settantenne di Perpetua, mentre Alessandro Schiavo diviene Giampegidio, buffa trasposizione del tenebroso amante di Gertude.
Non si parla solo di teatro, ma di vita vissuta, di quella temibile smania di Potere che tutto governa e che determina gli eventi reali così come le sventure dei due protagonisti; in contrapposizione pare esserci la Provvidenza che ordina e ricompone, su cui viene sospeso il giudizio attraverso lo schietto scetticismo di Renzo. Sarebbe auspicabile che davvero questa mano potente esistesse, tuttavia, chissà...
Lo spettacolo scorre agevolmente, tradendo forse eccessiva lunghezza e ripetitività nel ribadire certi concetti. Laddove il testo avrebbe offerto interessanti spunti per graffiare e contestare con sarcasmo, la lettura di Tiezzi e Lombardi si mantiene carezzevole, in qualche modo accondiscendente: non è del resto prerogativa di questi due artisti scioccare, piuttosto mantenere delicatezza e garbo anche nelle operazioni più ardite. Lo stesso Lombardi, e con lui i componenti della compagnia, sa imprimere agli spettacoli di volta in volta affrontati un inconfondibile marchio di professionalità ed eleganza, volto ad approfondire e sviluppare tematiche attraverso una macchina teatrale sempre giocata sul filo delle più impercettibili sfumature interpretative.