Vuoi prendere il mio posto? Un figlio per un figlio. Una madre per una madre...
TieffeTeatro
di Roberto Cavosi con Maddalena Crippa Francesco Colella, Carlotta Viscovo
e con Francesca Mària, Stefania Medri, Raffaella Tagliabue
regia Carmelo Rifici
scene Daniele Spisa
costumi Margherita Baldoni
canti a cura di Emanuele De Checchi
luci Matteo Crespi
1976, è estate, a Seveso un guasto alla ciminiera di una fabbrica di profumi causa la fuoriuscita di una grande nube di diossina. La diossina è una sostanza estremamente tossica: ustionante, cancerogena e teratogena. Veniva usata in Vietnam per le bombe al napalm.
Sara è una donna di Seveso, è felicemente sposata ed aspetta un figlio. Quella nube cambia la sua vita. Nessuno, nel 1976, conosceva esattamente quali fossero le conseguenze della diossina per il feto. Dal Vietnam arrivavano solo poche, imprecise, ed allarmanti notizie di gravissime malformazioni genetiche. A Seveso adulti e bambini vengono ricoverati in ospedale con gravi forme di cloracne. Il paese viene fatto evacuare. Sara, non ottenendo risposte dalla scienza, si rivolge alla Beata Vergine pregandola di venirle in soccorso. Sara vorrebbe che Maria scendesse dal cielo per aiutarla. E Maria acconsente, ma le propone uno scambio: “Se il tuo fardello è troppo pesante - le dice - lo prenderò io e tu prenderai il mio”. Sara, pensando che si sarebbe assisa tra gli angeli in trono, accetta lo scambio. Ma la sua felicità dura poco e nei panni di Maria si trova sul Golgota davanti a suo figlio in croce. Ancora davanti ad un figlio che lei non è in grado di difendere. Drammaturgicamente il testo è costruito su varie contaminazioni, contrappuntate in diversi linguaggi: danza, prosa, musica, canto. È teso alla ricerca di una sintesi attraverso precise scansioni stilistiche: teatro liturgico-medioevale, teatro realistico ed espressionista, il tutto assemblato da forti tinte di “pittura” simbolista e metafisica. Dal punto di vista del contenuto ANIMA ERRANTE è il tentativo di trovare il “disegno” di una madre assoluta, di una madre nel tempo e attraverso il tempo. È il percorso tortuoso e difficile di tutte le donne, di tutte le madri che in questo mondo fatto di violenza e sopraffazione non sono in grado di difendere il loro stesso figlio.
RECENSIONE DE IL GATTO CON GLI STIVALI SU "DELTEATRO.IT"
Il gatto con gli stivali Chissà perché si crede che il mondo delle fiabe sia allegro e divertente mentre il più delle volte è oscuro, nero, pauroso. Anche Il gatto con gli stivali di Ludwig Tieck, fiaba famosissima scritta a cavallo fra Settecento e Ottocento, in scena con successo al Teatro Studio di Milano, lo conferma. C'è una voce metallica (Melania Giglio) che proviene da un altoparlante e che guida l'azione, dando spesso ordini. C'è un alternarsi di luci e di ombre, un susseguirsi di colpi di scena non sempre tranquillizzanti, un certo mistero di fondo che si confonde con la meraviglia e che spinge a qualche riflessione, suggerendo emozioni. Ugo Tessitore, che ne ha curato la drammaturgia, non ci consegna parola per parola la fiaba romantica di Tieck, questa strana storia che ha per protagonista un gatto parlante, umanizzato, capitato in eredità a un ragazzo senza arte né parte e che però sa sdebitarsi nei confronti del suo giovane padrone combinandogli addirittura un matrimonio principesco e creandogli la falsa identità del Barone di Carabàs. Tessitore, infatti, in perfetta sintonia con la regia piena di fantasia di Carmelo Rifici, pensa a questa fiaba come a una recita continuamente interrotta, puntando dunque il discorso sul teatro che si racconta e si mostra nel suo gioco e nella sua fantasia. In scena dunque ci sono dei tipi immediatamente riconoscibili da noi: l'incontentabile critico Seppia (Pasquale Di Filippo), su di una sedia a rotelle, il pubblico preparato e snob che crede di capire tutto, un sulfureo oste (Andrea Germani), il vecchio attore trombone che può contare sull'interpretazione maiuscola di Massimo De Francovich, il giovane interprete che non sa che pesci pigliare, un buffone che "fa le voci" ma che si sente estraneo a quel mondo (Giovanni Crippa), l'autore, il regista.... Un puzzle a incastro che si compone poco alla volta con il sostegno di una colonna sonora che mescola il Mozart del Flauto magico a Rossini e a Olivier Messiaen con un occhio al gatto di Alice ma anche a Pene d'amore di una gatta inglese e a Cats. Il delizioso spettacolo di Rifici gioca a sua volta su tre piani: la fiaba di Tieck vera e propria ; l'attesa del pubblico un po' snob, dove si distingue la bisbetica coppia formata da Elena Ghiaurov e da Gianluigi Fogacci che pettegolando sono in attesa dell'andata in scena di uno spettacolo nuovo di cui non sanno nulla; il pubblico in sala - cioè noi - che vede gli uni e gli altri. La scena (di Guido Buganza) è come un libro parlante, dove si muovono alberi "viventi" da cui escono i personaggi; da personaggi che improvvisamente si trasformano in animali alla Savinio - nei costumi di Margherita Baldoni - per poi magari riprendere le proprie fattezze. Il tutto, sotto l'occhio sornione del ragazzo vestito di bianco con la maschera bianca da gatto, che porta neri stivali a cui il bravo Francesco Colella conferisce un inquietante spessore. Lo spettacolo comincia, si interrompe, prende altre strade e ritorna poi alla fiaba da cui è partito. Fiaba, opera buffa, musical, pantomima o semplicemente teatro? Da vedere. Condividi il contenuto di questo articolo? Vuoi esprimere un parere sullo spettacolo? Registrati ed entra a far parte della community di Delteatro.it! ___ di maria grazia gregori (11:48 - 16 mar 2009)
Scritta all’inizio del Seicento, l’opera storica narra le tristi vicende di un antico monarca britannico condotto alla pazzia dal comportamento snaturato delle figlie cui aveva affidato il suo regno. Il drammaturgo inglese guardando al passato ha raffigurato il suo presente che versava in una profonda crisi. Ma ha anche anticipato il futuro. Perché sembra molto attuale il tema al centro del King Lear: l’incomprensione e il fraintendimento tra padri e figli – sul piano privato - la difficoltà e persino la paralisi del ricambio generazionale – su quello pubblico. Indicatore quest’ultimo tutt’altro che trascurabile dei momenti di stasi, di degenerazione morale, di paralisi politica di una società.
Sono tutti padri e figli i personaggi principali del dramma. Innanzitutto, il protagonista, il re autoritario e affaticato dall’età, con la colpa di esser “diventato vecchio prima di divenire saggio”, ha lo sguardo penetrante, l’espressività e la voce tonante di Ugo Pagliai, attore di consumata esperienza. Il suo Lear attraversa con equilibrio gli eccessi del personaggio: è genitore anziano, è regnante indebolito, è delirante contro gli agenti naturali, supino con la faccia rivolta a un cielo inclemente nella nota scena della landa desolata e battuta dall’uragano (l’attore viene reso ben visibile da un piano inclinato verso il pubblico). Ma lo stesso re sa anche conservare una sottile vena di leggerezza quando scherza con il suo alter ego, l’inseparabile fool (il bravo Francesco Colella). Questi scherzando dice sempre il vero e ben definisce il suo padrone affermando: “saresti stato un ottimo pazzo” (tema caro a Shakespeare quello del confine tra ragione e follia).
All’ombra del protagonista ci sono poi i figli. Alcuni positivi in virtù della loro fedeltà e lealtà ai padri (Cordelia, figlia di Lear, Federica Bern; Edgar, figlio di Gloucester, Gianluigi Fogacci) ma fondamentalmente impotenti davanti al male. Altri sono negativi, come le figlie ingrate di Lear, Goneril (la convincente Melania Giglio) e Reagan, impreparate a gestire un potere sempre bramato e ottenuto con l’adulazione, ma divise da avidità ed egoismi, incapaci di sostituire dignitosamente il genitore, prive di pietà filiale. A loro Lear dice “Vi ho dato tutto” e loro rispondono “Ed era tempo che ce lo deste”. Un altro figlio privo di rispetto, determinato ma disonesto nella sua voglia di riscatto e di libertà dal proprio destino sociale, è lo spavaldo Edmond, figlio illegittimo di Gloucester, animato dalla verve di Giacinto Palmerini.
Gli attori si muovono a ritmo di tamburi, in una scenografia essenziale, soprattutto quando rappresenta gli esterni. In aiuto dei deliri di Lear giungono videoproiettori che creano fantasmi e visioni. E che ben rendono la follia del re generata dalla follia, ancor più grande, di un mondo in cui figli e padri sono egualmente ciechi.
Nato a Catanzaro, si diploma all’Accademia “Silvio D’Amico” di Roma.
Di seguito una selezione dei suoi lavori:
·Marco Maltauro in PENSACI GIACOMINO e in LA VERA STORIA DEI BEATLES;
· Luca Ronconi in QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO di Pirandello e ALCESTI di
Samuele di Savinio, quindi, al Piccolo, ne IL SOGNO di Strindberg, LOLITA di
Nabokov, PHOENIX della Cvetaeva, CANDELAIO di Giordano Bruno, INFINITIES di
Barrow, LE BACCANTI di Euripide, LE RANE di Aristofane, PROFESSOR BERNHARDI di
Schnitzler, L’ANTRO DELLE NINFE da Omero e Porfirio, il MERCANTE DI VENEZIA, SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE di Shakespeare;
· diretto da Árpád Schilling, ha recitato in RICCARDO III di Shakespeare;
· con Armando Pugliese in ESTATE E FUMO di Williams;
· con la regia di Daniele Salvo in ONEGIN di Pushkin, I SOGNATORI, RE LEAR di
Shakespeare;
· con Claudio Longhi in LA PESTE di Camus;
· con Giacomo Andrico GALILEO GALILEI UN PROCESSO;
· diretto da Monica Conti in L’INNESTO di Pirandello;
· Carmelo Rifici lo ha diretto in LA TARDI RAVVEDUTA di Giacosa, LA SIGNORINA JULIE di Strindberg, I PRETENDENTI di Lagarce, DETTAGLI di Noren, nel GATTO CON GLI STIVALI – UNA RECITA CONTINUAMENTE INTERROTTA di Ludwig Tieck;
· LA CIMICE di Vladimir Majakovskij, regia di Serena Sinigaglia con Paolo Rossi;
· I PROMESSI SPOSI ALLA PROVA di Testori, compagnia di federico Tiezzi e Sandro Lombardi.
· Ha scritto e interpretato una drammaturgia ispirata a L’ASINO D’ORO di Apuleio,
insieme a Francesco Lagi che ne ha curato la messa in scena, spettacolo prodotto da
Castello di Padernello e Teatro Stabile di Brescia;
· Ha scritto con Francesco Lagi e interpretato l’allestimento dell’APOCALISSE DI GIOVANNI;
· Al cinema è stato protagonista di LA COLLEZIONE INVISIBILE di Gianfranco Isernia;
· Nell’estate 2010 ha partecipato alle riprese del film per la regia di Francesco Lagi, prod. Bianca Film Rai Cinema, MISSIONE DI PACE;
· Ha appena concluso le riprese del film per la televisione con la regia di Alessandro Angelini, produzione Tao 2, IL CLAN DEI CAMORRISTI.
Ha vinto l’edizione 2010 del Premio UBU come miglior attore non protagonista per l’interpretazione in DETTAGLI di Noren, regia di Rifici, e IL MERCANTE DI VENEZIA di Shakespeare, regia di Ronconi.
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