Zigulì

Tratto dal libro di Massimiliano Verga "Zigulì" edito da Mondadori.

Note di regia.
«Il personaggio di Zigulì è un uomo smarrito che si rapporta a suo figlio e alla sua disabilità con stupore, rabbia e ironia. L’azione si svolge in uno spazio domestico ma notturno, un luogo che non è più una casa ma è il campo di battaglia dove si svolge la loro lotta quotidiana. È un mondo chiuso dove ogni tanto penetrano dei raggi di sole: i tentativi di aprire degli spiragli sono il più delle volte fallimentari o portano solo all’illusione di un momento. Il tempo che il padre e il figlio vivono ogni giorno, scandito da relazioni e impegni, passato tra strutture per la fisioterapia e assistenti sociali, è lontano. Il tempo del nostro racconto è dilatato, notturno, fatto anche di silenzi, a volte dolce e a volte insopportabile. Quello che ci interessa raccontare non è il mondo del figlio e della sua disabilità, non ci è dato conoscerlo, ma quello che lui ci mostra di sé contagiando l’esistenza di suo padre. Gli taglia l’anima, gli fa male e gli fa paura, lo atterrisce e lo fa incazzare. È molto forte il peso che hanno i corpi in questa storia. È una continua lotta fra due maschi, è un gioco virile, il corpo del figlio contro il corpo del padre. Una lotta fisica estenuante, le testate, le spinte, i morsi e i graffi tra gli abbracci e le esplosioni di risate. E poi la merda, le urla, la musica assordante. E, qualche volta, i baci. Perché in questa storia, che è soprattutto una storia d’amore, tutto questo accade disordinatamente, senza nessun galateo sentimentale. La musica, dal punk a Bach, è in questo rapporto come un’isola felice, un tentativo di sollievo, quando sono finite le parole e non rimane che sorridere e ballare. Il figlio rimane sempre invisibile, solo evocato e sempre presente come una piccola e misteriosa divinità.
La messa in scena sarà rotta, fatta di slanci e di silenzi improvvisi, interrotta dal buio e da squarci di luce, che sono la sintesi visiva di questo racconto, cercando di dare corpo alle apparizioni e ai sentimenti discontinui del testo. La paura e il desiderio della morte. Il bisogno intimo di sparire e insieme di far sparire tutto con rabbia. La fragilità del padre, che è insieme desiderio di protezione ma anche vivida repulsione. L’intenzione di arrivare in fondo alla giornata ma anche il desiderio di finire tutto, ora. La pallina dolce di Zigulì e l’ amore che lega i due personaggi, indissolubilmente. Il rapporto con la città e la natura. I legni da raccogliere e da intagliare, levarne la crosta per accarezzare le impurità, i nodi. La camicia che si sporca sempre, che prima di uscire è sempre da cambiare e che comunque sempre rimane sporca. Il lupo che il padre, prima o poi, vorrebbe incontrare.»
http://www.sbirciapaola.it/ziguli-a-teatro/


Anima errante


Vuoi prendere il mio posto? Un figlio per un figlio. Una madre per una madre...  

TieffeTeatro

di Roberto Cavosi
con Maddalena Crippa
Francesco Colella, Carlotta Viscovo
e con Francesca Mària, Stefania Medri, Raffaella Tagliabue

regia Carmelo Rifici
scene Daniele Spisa
costumi Margherita Baldoni
canti a cura di Emanuele De Checchi
luci Matteo Crespi








1976, è estate, a Seveso un guasto alla ciminiera di una fabbrica di profumi causa la fuoriuscita di una grande nube di diossina. La diossina è una sostanza estremamente tossica: ustionante, cancerogena e teratogena. Veniva usata in Vietnam per le bombe al napalm.
Sara è una donna di Seveso, è felicemente sposata ed aspetta un figlio. Quella nube cambia la sua vita. Nessuno, nel 1976, conosceva esattamente quali fossero le conseguenze della diossina per il feto. Dal Vietnam arrivavano solo poche, imprecise, ed allarmanti notizie di gravissime malformazioni genetiche. A Seveso adulti e bambini vengono ricoverati in ospedale con gravi forme di cloracne. Il paese viene fatto evacuare. Sara, non ottenendo risposte dalla scienza, si rivolge alla Beata Vergine pregandola di venirle in soccorso. Sara vorrebbe che Maria scendesse dal cielo per aiutarla. E Maria acconsente, ma le propone uno scambio: “Se il tuo fardello è troppo pesante - le dice - lo prenderò io e tu prenderai il mio”. Sara, pensando che si sarebbe assisa tra gli angeli in trono, accetta lo scambio. Ma la sua felicità dura poco e nei panni di Maria si trova sul Golgota davanti a suo figlio in croce. Ancora davanti ad un figlio che lei non è in grado di difendere.
Drammaturgicamente il testo è costruito su varie contaminazioni, contrappuntate in diversi linguaggi: danza, prosa, musica, canto. È teso alla ricerca di una sintesi attraverso precise scansioni stilistiche: teatro liturgico-medioevale, teatro realistico ed espressionista, il tutto assemblato da forti tinte di “pittura” simbolista e metafisica. Dal punto di vista del contenuto ANIMA ERRANTE è il tentativo di trovare il “disegno” di una madre assoluta, di una madre nel tempo e attraverso il tempo. È il percorso tortuoso e difficile di tutte le donne, di tutte le madri che in questo mondo fatto di violenza e sopraffazione non sono in grado di difendere il loro stesso figlio.