LA CIMICE


La cimice, scrisse Majakovskij, “è la variante teatrale di quell’argomento fondamentale al quale ho dedicato versi e poemi. Si tratta della lotta contro il piccolo-borghese”.
Prisypkin è il prototipo di questa società. Un operaio che, per elevarsi socialmente, abbandona l'innamorata, rinnega gli ex compagni, si fidanza con la figlia di una parrucchiera.

Ma alla festa di nozze gli invitati, ubriachi, provocano un incendio. Muoiono tutti eccetto Prisypkin che, congelato dai getti d'acqua dei pompieri, è ritrovato cinquant'anni dopo in una lastra di ghiaccio e riportato in vita.
L’ex operaio si sveglia nel 1979, in un mondo asettico e freddo, nel quale sono banditi tutti i vizi e le emozioni, anche l’amore. Per lo spaesato Prisypkin l’unica gioia è l’alcool e l’unico amico una cimice, parassita debellato nel mondo del futuro, che genera nei presenti altrettanto disgusto quanto lo stesso Prisypkin.
E quando la cimice è portata allo zoo, l'uomo chiede e ottiene di seguire in gabbia l'amato insetto, unici eredi di un mondo che non esiste più.

Che cosa collega questa farsa paradossale di Majakovskij a noi, oggi? Questa è la domanda che Serena Sinigaglia si pone di fronte al testo. Scritto e ambientato nella prima parte nel 1929, La cimice è una riflessione lucidissima e disincantata sulla rivoluzione russa, o, meglio, su come nel giro di soli dieci anni quei valori siano stati completamente rinnegati e capovolti dagli stessi che li avevano affermati.
“Nessuno si salva”, osserva la regista, “e il futuro (nel quale si ambienta la seconda parte del testo), immaginato nel 1979 ma che potrebbe essere un qualsiasi futuro, mostra una realtà disintegrata e sterile. No, l'essere umano è destinato a distruggere e a distruggersi. È un animale schifoso, proprio come una cimice. E se lo schiacci puzza!”.